Un riconoscimento diffuso e lo studio approfondito preludono alla composizione del volume collettivo su tutto il Bellocchio da I pugni in tasca (o, ancora prima, da Abbasso il zio) a Rapito e oltre fino all’ultimo cortometraggio del 2024 realizzato con gli allevi della scuola di Bobbio nell’ambito del corso di alta formazione cinematografica Bottega XNL – Fare Cinema.
Il curatore Roberto Lasagna ha messo assieme le migliori penne critiche nazionali per redigere 28 saggi monografici sui singoli film presentati cronologicamente (1965-2024), offrendo a corredo una lettura trasversale ed eterogenea sulle linee interpretative maggiormente convalidate del Bellocchio pubblico e privato, del Bellocchio televisivo e del Bellocchio documentarista. Edito da Il Foglio, nella collana La cineteca di Caino, 300 pagine, con un corpus fotografico finale di repertorio filmico per la gentile concessione del cineasta e la filmografia completa (pp. 267-270), Marco Bellocchio. Il pubblico e il privato serve, ma di sicuro non basta, a leggere il regista piacentino dalla A alla Z.
Reduce dal successo internazionale di Rapito e passato a Venezia con Se posso permettermi Capitolo II, il regista di Il principe di Homburg e Vincere è partito dall’autobiografismo familiare, durante la formazione al Centro Sperimentale di Cinematografia, per passare velocemente, nell’età della ribellione giovanile, alla critica al mondo borghese in ottica rivoluzionaria, o quantomeno di contestazione pre-sessantottina, alla psicologia clinica e alla fenomenologia del paranormale, a storie legate al contesto storico-politico nazionale e internazionale che lo porteranno presto a concludere, sulla scia intrapresa, il film su Enzo Tortora.
La tesi del volume è individuata nel perfetto bilanciamento tra istanze intime, personali assunte con l’obiettivo di assurgere a coscienza popolare contrapposte, ma non estranee, alle istanze del pubblico, del necessario collettivo, indagando fatti politici della storia nazionale di cui nessuna verità è svelata, nel Paese delle inchieste e dei maxi processi decennali, ma narrata da una prospettiva pluriprospettica, eterocentrica, multiforme. Perseguendo l’arte del disadattamento e del dare la parola alle categorie sociali che hanno meno voce in società, “L’opera del cineasta piacentino è un percorso di autocoscienza e laboratorio di ipotesi interpretative per lo spettatore a cui viene suggerito il compito di interrogarsi” (Il pubblico e il privato, p. 21) sui fatti della vita umana, siano essi pubblici o privati, pur sempre al centro dell’impegno intellettuale e della connotazione stilistica di Marco Bellocchio.
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